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Conserve confetture marmellate e composte
Conserve, confetture, marmellate e composte fatte in casa.
Conserve, confetture, marmellate e composte sono delle preparazioni che rievocano il meglio della cucina popolare, e che hanno fatto la storia della gastronomia italiana. Vale proprio la pena dedicare loro un’intera sezione, dove convogliare le ricette più tradizionali, ma anche quelle più innovative e interessanti, in una prospettiva di arricchimento generale.
Qui di seguito trovate una lista molto corposa di ricette per soddisfare tutti i gusti, che toccano quasi tutte le categorie alimentari, dalla frutta fresca alla frutta secca, dalla verdura agli ortaggi, passando per i pesci azzurri. Ricette che possono essere impiegate per arricchire altre ricette, in un processo di commistione che strizza l’occhio alla creatività e alla fantasia. Prima di iniziare con un corposo approfondimento è bene mettere alcune cose in chiaro, ovvero definire cosa si intende per conserva, confettura, marmellata e composta. In alcuni casi, infatti, i termini vengono considerati dei sinonimi.
Facciamo chiarezza sulle conserve, confetture, marmellate e composte
La conserva è esattamente ciò che suggerisce il nome, ossia una preparazione riposta in barattoli e destinata a durare nel tempo in virtù di alcuni specifici ingredienti e procedimenti. Più complesso è il rapporto tra confettura, marmellata e composta. La confettura e la marmellata, dal punto di vista culinario, sono in effetti la stessa cosa. A cambiare è l’ingrediente base, infatti la marmellata è realizzata con gli agrumi, la confettura, invece, è realizzata con tutti gli altri frutti (o con le verdure). Il termine marmellata, comunque, viene impiegato anche per i non-agrumi, almeno nel quotidiano, ma è bene conoscere la reale differenza tra i due termini. Discorso diverso per la composta, una preparazione simile alla confettura (e marmellata) ma pensata per essere un po’ meno dolce e un po’ più acidula.
Lo zucchero è molto scarso o è del tutto assente. Quel poco di dolcezza che la composta offre è dovuta soprattutto alla naturale dolcezza dell’ingrediente principale. Non è un caso che la composta sia utilizzata anche per condire piatti salati, spesso a base di carne, allo scopo di conferire loro un tocco agrodolce. Per quanto riguarda le marmellate e le confetture, l’ambito di applicazione è la pasticceria. Il riferimento è chiaramente alle crostate, ma anche agli impasti più o meno morbidi e dotati di ripieno. Le conserve, invece, possono essere consumate così come si trovano, in qualità di snack o di semplice antipasto. Possono però fungere da ingredienti per primi, secondi ed entrée più complessi.
Quale zucchero usare per le confetture e le composte?
Lo zucchero è un alimento fondamentale sia per le confetture che per le composte. A dire il vero, più per le prime che per le seconde. Come abbiamo visto, le confetture sono dolci, mentre le composte sono leggermente acidule. D’altronde queste ultime fanno uso non solo di zucchero, ma anche della dolcezza intrinseca dell’alimento, che spesso non è così accentuata. Inoltre, vengono sovente arricchite dal succo di limone.
Si fa presto a dire zucchero, infatti vi sono tantissime tipologie e tutte molto reperibili. La scelta è tra zucchero bianco e zucchero bruno, o grezzo che dir si voglia. La scelta è anche tra zucchero semolato e zucchero fine. Qualche scegliere? E’ impossibile fornire una indicazione che valga per tutte le preparazioni, ma ovviamente dipende da caso a caso. Per esempio alcuni alimenti potrebbero risultare compatibili con il sapore caramellato dello zucchero bruno (che contiene residui di melassa). In linea di massima, però, è sempre bene optare per lo zucchero semolato. Potrà sembrare strano, ma quest’ultimo si amalgama e si scioglie meglio del fine.
Quale olio scegliere per le conserve?
Se le confetture e le composte vedono nello zucchero un fondamentale ingrediente di supporto, le conserve spesso e volentieri prevedono l’impiego di abbondante olio. Di base è un ottimo liquido di conservazione, come lo dimostrano alcune preparazioni: i peperoncini sott’olio e i carciofini sott’olio, giusto per citare alcune delle conserve più usate. Tuttavia, il discorso è sempre lo stesso: quale olio utilizzare? La scelta in questo caso è tra l’olio extravergine di oliva e l’olio di semi. Di norma la tentazione è quella di utilizzare quest’ultimo, se non altro perché le quantità richieste sono importanti e costa meno.
Anche in questo caso dipende da caso a casa, da conserva a conserva. E’ possibile comunque fornire qualche indicazione di massima. Per esempio, quando il contenuto della conserva è saporito di suo, magari perché l’alimento vanta un buono spessore organolettico o perché si fa un uso abbondante delle spezie, l’olio di semi può essere una risorsa. Se invece gli ingredienti sono più delicati e l’uso delle spezie è più parco, ecco che l’olio diventa un vero e proprio ingrediente, e quindi andrebbe impiegato l’extravergine di oliva.
Le migliori conserve di frutta
Le conserve di frutta rappresentano un caso particolare tra tutte le conserve. Infatti, spesso e volentieri si assiste a un’alterazione radicale (e gradevole) del sapore. Ciò è dovuto al liquido di conservazione, che di norma ha una base alcolica. Non a caso, un sinonimo della conserva di frutta è la frutta sotto spirito. In questo caso le ricette sono numerose, ma qui ne cito due che si distinguono per gli ingredienti e per il liquore impiegato.
Mi riferisco in particolare alle pere madernasse al rum. Le pere madernasse hanno una polpa densa e farinosa, capace di resistere sotto soluzione alcolica per lungo tempo. Tale soluzione è fornita dal rum, che aggiunge sapore. Le pere madernasse sotto rum sono l’ideale per la pasticceria fruttata. Per esempio, possono fungere da splendida guarnizione per torte cremose e per cheesecake.
Un caso particolare è rappresentato dai cachi verdi sott’olio. La combinazione è perfetta, in quanto conferisce al frutto, solitamente molto dolce, una corposità eccellente e davvero molto gradevole al palato. I cachi verdi sott’olio sono ottimi per formare antipasti agrodolci, o per conferire un tocco di agrodolce ai secondi piatti. Ovviamente, sono ottimi anche per un consumo in solitaria.
Le migliori conserve vegetali
Le verdure e gli ortaggi trovano nelle conserve un habitat perfetto. La loro consistenza e la loro capacità di assorbire i sapori si prestano alla preparazione delle conserve. In buona parte dei casi il liquido di conservazione è garantito dall’olio, non di rado però è formato quasi esclusivamente dall’aceto, soprattutto se la verdura in questione ha un sapore delicato. Un’altro elemento ricorrente di queste conserve è la presenza di molte spezie.
A tal proposito, sono molto affezionata ai friarielli in conserva, in quanto mi ricordano i miei soggiorni napoletani. I friarielli, per intenderci, sono le infiorescenze non completamente mature delle cime di rapa. Rispetto a queste ultime spiccano per un sapore gradevolmente amarognolo. Questa conserva può essere consumata sia in solitaria che in abbinamento con sfiziosi antipasti. Ovviamente, può essere impiegata per condire la pizza, e ricreare così la famosa pizza salsiccia e friarielli.
Molto buoni, e particolari, sono anche i finocchi in conserva. In questo caso la ricetta è molto semplice, in quanto il liquido di conservazione è dato dall’olio. L’aceto, infatti, serve più che altro a cuocere i finocchi. A proposito di finocchi, questi devono essere tagliati finemente, senza superare i 2-3 centimetri di spessore. I finocchi in conserva sono ottimi anche da soli, ma vi consiglio di utilizzarli per preparare aromatici antipasti.
Le migliori conserve di carne e di pesce
La carne e il pesce non sono gli alimenti più privilegiati per la preparazioni di conserve. Tuttavia, si apprezzano alcune ricette particolari, che interpretano in maniera creativa il concetto di conserva. Un esempio è dato dal tonno di gallina, un nome che è tutto un programma. Esso deriva dal fatto che la carne di gallina è trattata come il tonno. La carne va cotta a lungo, più di quanto non si farebbe con il tonno, dopodiché va posta nei barattoli e arricchita con delle spezie, prima di essere coperta con abbondante olio. Per quanto riguarda le spezie, la ricetta prevede l’utilizzo del rosmarino, di un po’ di alloro e del ginepro.
Tornando sul classico, è impossibile non citare le alici sott’olio. Questo pesce trova nelle conserve sott’olio una delle applicazioni migliori, in quanto il suo sapore subisce una parziale trasformazione. Diventa in un certo senso più corposo, il ché è un bene se si considera la delicatezza delle alici al naturale. In questa veste, le alici possono essere impiegate per arricchire le bruschette, la pizza e per condire la pasta (insieme a tanti altri ingredienti).
La sterilizzazione, un accorgimento fondamentale
Confetture, marmellate, composte e conserve sono preparazioni molto diverse tra di loro ma hanno un paio di punti in comune. In primis sono fatte per durare, ovvero per poter risultare commestibili e sicure anche a distanza di tempo. In secondo luogo richiedono barattoli e tappi sterilizzati. La sterilizzazione di questi elementi è funzionale proprio al mantenimento nel tempo degli alimenti.
Come sterilizzare barattoli e tappi? I metodi sono numerosi, alcuni dei quali puntano alla velocità, mentre altri si rivelano davvero creativi. Il metodo standard, che viene utilizzato più di frequente, prevede la bollitura. Molto banalmente si pongono vasetti e tappi all’interno di una pentola alta piena di acqua e si accende il fuoco. Si pongono inoltre degli stracci in modo che i vari elementi non si tocchino, in questo modo si evitano rotture ad alte temperature. Dopo una ventina di minuti i barattoli e i tappi sono pressoché sanificati, e possono ospitare confetture, marmellate, conserve e composte.
Qualche consiglio per preparare delle buone conserve
In molte regioni italiane le conserve rappresentano una tradizione affermata, sicché vengono trasmessi di generazione in generazione gli accorgimenti per una preparazione ottimale sotto il profilo organolettico e della sicurezza. Chi però si cimenta per la prima volta, e senza un adeguato background, dovrebbe profondere un’attenzione ancora più marcata. Il rischio, infatti, è quello di provocare la contaminazione dei cibi, fino ad innescare la comparsa del temibile botulino. Ecco alcuni accorgimenti minimi.
Sterilizzare vasetti e tappi. Ho ampiamente descritto il processo di sterilizzazione, dunque non mi rimane che evidenziare ulteriormente l’importanza di questo passaggio.
Pastorizzare la conserva. La pastorizzazione è fondamentale se lo scopo è di far durare la conserva a lungo. La pastorizzazione segue lo stesso canovaccio della sterilizzazione. In pratica si mettono a bollire i vasetti già riempiti e sigillati.
Fare attenzione alle pentole. Questo è un passaggio niente affatto scontato. Alcune pentole “tradizionali”, come quelle in rame, in realtà creano un ambiente acido che potrebbe favorire la produzione di tossine. Il consiglio è quindi di utilizzare solo pentole in acciaio inox.
Scegliere prodotti di stagione. Utilizzare solo verdura e frutta di stagione riduce il rischio di contaminazione. In caso contrario vi è la possibilità che l’alimento sia stato congelato in precedenza, e soffra di una carica batterica elevata.
Le conserve di funghi, una preparazione davvero gustosa
Le conserve di funghi sono tra le mie preferite in quanto trovo che questo speciale alimento si adatta al meglio ai principali metodi di conservazione, non ultimo all’uso dell’olio. In questo caso, come in tanti altri, l’olio non si limita a ritardare il deperimento ma insaporisce. I funghi sott’olio acquiscono un sapore parzialmente diverso, che può essere speso in molte preparazioni.
Tra i funghi che meglio si adattano alla conservazione sott’olio spiccano i finferli. D’altronde, hanno un sapore in genere tenue, benché riconoscibile. Vantano anche una consistenza tale da garantire alla conserva una certa croccantezza a distanza di tempo. Conservano anche tutte le loro proprietà nutrizionali, tra cui spicca l’abbondanza di vitamina D, fondamentale per il sistema immunitario. I finferli sott’olio, come qualsiasi conserva di funghi, presentano mille applicazioni. La conserva può essere impiegata per condire bruschette, pizze e persino per realizzare dei sughetti deliziosi. Ovviamente, i finferli sott’olio sono buoni anche se consumati da soli.
Un chiarimento sulla raccolta dei funghi
Alcuni preferiscono acquistare i funghi, magari freschi, altri si divertono a raccoglierli direttamente. Andare a funghi è rilassante, divertente e mette a contatto con la natura. Per molti è un’occasione da non perdere se si ha un bosco “a portata di mano”. Non ci sarebbe nulla di male se non fosse rischioso. Nello specifico il rischio è di raccogliere funghi che sembrano commestibili, ma che in realtà sono velenosi. Le differenze tra alcune specie sono infatti minime e potrebbero passare inosservate ad un occhio poco esperto.
Cosa fare dunque? Rinunciare alla raccolta dei funghi? Non serve rinunciare, tuttavia l’ideale sarebbe farsi accompagnare da un esperto. Se ciò non è possibile, vi è comunque una via di uscita: sottoporre i funghi raccolti a una verifica da parte di “chi ne sa”, prima di prepararli e consumarli. Un semplice accorgimento che può risparmiare parecchi disagi, anche e soprattutto di tipo sanitario.
I vari tipi di marmellate
Dopo aver parlato abbondantemente delle conserve, passiamo ora alle marmellate. Sono preparazioni che restituiscono un sapere tradizionale, che si tramanda di generazione in generazione. Da che mondo e mondo, la marmellata si prepara in casa. E in effetti il procedimento è quasi sempre facile, e consiste nella cottura della frutta insieme allo zucchero e a pochi altri ingredienti, per giunta necessari solo occasionalmente.
Come ho già spiegato, la marmellata è tale solo se realizzata con gli agrumi. Quella più famosa è la marmellata di arancia, che si fa apprezzare per il sapore zuccherino ma anche per un retrogusto vagamente amarognolo. Ovviamente, non è l’unica marmellata “possibile”. A tal proposito vi consiglio di provare anche la marmellata di mandarini. In questo caso la ricetta è identica, ma il sapore è diverso. I mandarini, pur conservando l’aroma tipico degli agrumi, sono un po’ più dolci. Io considero la marmellata di mandarini un’idea regalo perfetta, perché suscita familiarità come qualsiasi altra marmellata, inoltre garantisce anche un tocco di sapore in più diverso dal solito.
Una marmellata davvero particolare è quella al bergamotto. Non perché venga realizzata con chissà quale procedura, ma proprio per l’ingrediente principale. Il bergamotto, infatti, è quasi una rarità, che cresce in zone limitate del nostro Paese, principalmente in Calabria. Il suo sapore, acre e aromatico allo stesso tempo, valorizza una preparazione come la marmellata, rendendola davvero unica e salutare.
Le confetture di frutti di bosco e di frutti rossi
Passando alle confetture, ossia alle marmellate realizzate da alimenti diversi dagli agrumi, è bene parlare dei frutti rossi e dei frutti di bosco. Questo genere di frutti si sposa benissimo con il concetto di confettura, in quanto capaci di conferire anche sentori aciduli, che rendono un po’ più complesso e gradevole il risultato finale.
Un classico in questo senso è la confettura di fragole. Questa confettura si fa apprezzare per il suo colore, che varia dal rosso brillante al rosso cremisi. E’ ottima anche per il sapore, che è sempre un po’ acidulo, anzi non è raro che si aggiunga il succo di limone. La confettura di fragole può essere impiegata per arricchire la classica fetta di pane, magari imburrata, ma anche per le ricette di pasticceria. Alcune ricette di cheesecake alla fragola fanno ampio uso di questa confettura, ovviamente in fase di guarnizione.
Una confettura ai frutti di bosco molto particolare è, invece, quella di more e cioccolato fondente. In questo caso, a fare da contraltare alla dolcezza delle more non c’è il limone, bensì il cioccolato fondente. Esso garantisce profondità in termini di sapore, e un gusto leggermente amarognolo.
Le confetture di frutti zuccherini
Come abbiamo visto, i frutti zuccherini possono essere oggetto di conserve. Tuttavia, rendono ancora meglio se trasformati in confettura. Ciò vale per quelli mediamente zuccherini, come per quelli molto zuccherini. Ovviamente il grado di dolcezza naturale del frutto va preso in considerazione, se non altro per valutare la quantità di zucchero più adatta.
Vale comunque la pena di presentare una confettura realizzata con frutti molto dolci, ma in grado di fornire sentori diversi e complessi. E’ il caso della confettura di mele e pompelmo rosa. Si tratta di una combinazione all’apparenza strana, ma che può dare molto in termini di gusto. Anche perché la dolcezza delle mele contrasta con l’amaro del pompelmo (e viceversa).
Sulla medesima falsariga si pone la confettura di pere e pepe rosa. Le pere devono essere di qualità Williams, in quanto vantano un sapore corposo e una consistenza compatta. L’elemento innovativo è però rappresentato dal pepe rosa. A differenza di quanto suggerisce il nome, non si tratta di un vero pepe, bensì di una bacca dall’elevata capacità aromatizzante. La combinazione è perfetta, in quanto la corposità della pera è valorizzata dai sentori peculiari del pepe rosa.
Le composte più buone e come utilizzarle
Le composte presentano un assetto abbastanza diverso rispetto alle marmellate e alle confetture. In genere, contengono meno zucchero o non ne contengono affatto. Inoltre, sono leggermente più acidule, se non addirittura speziate. Vengono impiegate per arricchire dolci, ma anche per valorizzare in una prospettiva agrodolce i piatti di carne. Una composta abbastanza classica in questo senso è quella di fragole e timo. Essa è realizzata solo con 50 grammi di zucchero, molto meno rispetto alla quantità suggerita dal mezzo chilo di fragole. Quella che ho trattato qui su Nonnapaperina.it ha però una particolarità, ossia non è realizzata con il succo di limone, bensì come il lime grattugiato. Un modo, questo, per ridurre il sentore acre della composta, il lime, infatti, è meno acre del limone.
Un’altra composta molto saporita, ma decisamente sui generis, è la composta speziata di mandarini. Come suggerisce il nome, abbonda di spezie, infatti troviamo la vaniglia, che aggiunge dolcezza, e la cannella, che conferisce un aroma peculiare. Infine, completa il tutto lo zenzero, che garantisce un sentore pungente.
I migliori piatti arricchiti dalle composte
Abbiamo descritto la composta come un condimento ideale per secondi piatti. Dunque, è utile citarne qualche ricetta elegante e sui generis. Un buon esempio in questo senso è dato dal patè di fegatini di coniglio e composta di cipolla di tropea. In questa ricetta il sapore delicato e vagamente dolciastro dei fegatini è valorizzato da quello della composta, che essendo di cipolle rosse di Tropea, conferisce equilibrio al piatto. In realtà, la composta non viene applicata direttamente sui fegatini, ma funge da elegante contorno, spalmato sui crostini.
Per quanto concerne l’ambito dei dolci, posso citare i crumble cookies al teff su composta di ciliegie. In questo caso la composta viene versata nei bicchieri, e forma la base dei crumble, che poco per volta si impregnano della deliziosa salsina. Questi crumble, per inciso, sono senza glutine, dunque consumabili anche da chi soffre di intolleranze alimentari scatenate da questa sostanza. E’ tutto merito del teff, una farina di origine africana poco consumata dalle nostre parti, ma preziosa sotto molti punti di vista.
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Mai fare autodiagnosi
Sintomi e sostanze scatenanti
Da quanto appena detto deriva anche l’eterogeneità di sintomi che allergie e intolleranze provocano. I sintomi delle allergie sono sovente sistemici e violenti, e possono includere forte malessere, rush e problemi respiratori. Se l’interazione con la sostanza avviene a livello cutaneo, si possono notare eczemi in corrispondenza della zona di contatto. E’ il caso dell’allergia al nichel. Non mancano, soprattutto in caso di assunzione, problemi gastrointestinali, come dolori, crampi, diarrea e nausea. I sintomi delle intolleranze sono più circoscritti e sono principalmente gastrointestinali. Ciò si verifica - nella maggior parte dei casi - in quanto l’organismo non riesce ad assimilare la sostanza, dunque produce gas nel tentativo di farlo. Tale abnorme quantità di gas provoca i sintomi che abbiamo appena descritto. Questo è proprio il caso dell’intolleranza al lattosio, infatti il lattosio rimane per lo più integro, anziché scomporsi in glucosio e galattosio, stimolando un accumulo di gas. Una differenza tra allergie e intolleranze, che spesso viene scambiata per punto in comune, è la classe di sostanze che scatenano le une e le altre. Nel caso delle allergie, la sostanza incriminata è un alimento nel suo complesso. Nel caso delle intolleranze, è spesso una molecola, uno zucchero o una proteina. Le allergie alimentari più comuni riguardano il latte, il miglio, il frumento, le uova e i crostacei. Le intolleranze alimentari più comuni, invece, riguardano il lattosio, il glutine e così via. Ciò pone in essere conseguenze diversificate sul tenore di vita. In buona sostanza, quello degli allergici risulta molto più compromesso. Dover evitare una sostanza è un conto, dover evitare un alimento è un altro paio di maniche. Giusto per fare un esempio, chi è intollerante al lattosio può comunque bere latte e consumare latticini, purché siano delattosati. Chi è allergico al latte non dispone di questa possibilità.Come diagnosticare allergie e intolleranze?
La diagnosi delle allergie alimentari è sostanzialmente clinica, dunque è frutto dell’osservazione di reazioni visibili e misurabili empiricamente. Ciò ha determinato la convinzione secondo cui anche il singolo individuo possa giungere a una diagnosi, senza l’aiuto di un esperto. In realtà è un errore madornale. L’autodiagnosi è fallace in quanto per individuare correttamente la malattia è necessario un bagaglio di conoscenze utile ai fini dell’interpretazione dei fenomeni. Inoltre, è anche pericolosa in quanto si rischia di scatenare i sintomi della malattia. E’ vero che la diagnosi passa per prove ed errori, ma queste devono susseguirsi in una prospettiva di riduzione dei rischi propria della professione medica. Dunque, sì all’eliminazione dalla dieta di questo o quell’elemento, per capire se è proprio lui a scatenare i sintomi allergici. Si anche all’aggiunta di dosi ulteriori del sospetto allergene per verificare la reazione dell’organismo, ma secondo tappe e indicazioni ben precise, fornite dallo specialista. Anche l’intolleranza viene diagnostica o più frequentemente “scovata” con l’aggiunta o la sottrazione di elementi specifici dalla dieta. Il primo scopo è comunque escludere l’allergia, cosa tra l’altro abbastanza semplice vista la diversità di sintomi. In alcuni casi sono a disposizione alcuni test che garantiscono una diagnosi. E’ il caso del breath test per le intolleranze al lattosio. Il paziente viene invitato a consumare del latte, in modo progressivo. Successivamente, soffia in un macchinario che analizza la composizione dell’aria immessa. Se si riscontra una quantità di anidride carbonica esagerata, allora si è in presenza di una intolleranza, infatti l’abbondanza di CO2 è causata proprio dalla cattiva digestione e dal malassorbimento. Se vi è un sospetto caso di celiachia, invece, si possono realizzare degli esami del sangue per rintracciare gli anticorpi specifici, in quanto tale patologia “stimola” comunque il sistema immunitario.Gli esami strumentali nello specifico
Vale la pena approfondire la questione degli esami strumentali. Molti, infatti, pensano all’iter diagnostico con un po’ di timore reverenziale, immaginando chissà quale pratica complessa o dolorosa. In realtà è tutto molto semplice, e nemmeno troppo scomodo. Ciò vale soprattutto per il breath test. Sul meccanismo di azione ho già accennato qualcosa prima, rimane da affrontare il tema della “preparazione”, che merita particolare attenzione. Infatti, non ci si può presentare al breath test come se nulla fosse, ma occorre seguire delle regole ben precise. La più importante riguarda il digiuno: esso deve durare per le otto ore precedenti al test. Lo scopo è quello di giungere con lo stomaco e gli intestini “vuoti”, analizzando al meglio l’impatto del lattosio sull’apparato digerente senza interferenze. Stesso discorso per il fumo. Il consumo di tabacco, infatti, può alterare - seppur impercettibilmente - l’attività respiratoria, inducendo all’errore l’esaminatore. E’ bene, poi, consumare cibo leggero in occasione dell’ultimo pasto (almeno otto ore prima del test). A tal proposito, si consiglia riso, carne o pesce, degli alimenti che producono pochi gas intestinali. Più complessi sono i test per la diagnosi della celiachia, almeno dal punto di vista medico. Per il paziente sono una “passeggiata”, in quanto constano di un semplice prelievo di sangue. Questo viene poi analizzato per verificare la presenza di anticorpi specifici contro il glutine. Gli anticorpi possono essere anti-transglutaminasi (tTG), anti-gliadina (AGA) e anti-endomisio. I risultati, per ovvi motivi, sono difficili da leggere, ma per questo ci sono esperti e specialisti. Se i risultati non sono chiari, o se la celiachia è a uno stadio precoce, è possibile sottoporsi ad alcuni test genetici. Questi hanno lo scopo di verificare la presenza di componenti genetiche associate alla celiachia. I test genetici sono comunque abbastanza rari, anche perchè costano parecchio.Comportamenti e terapie
Quando si è in presenza di un’allergia alimentare, l’unica terapia realmente a portata di mano è l’esclusione totale dell’alimento dalla propria dieta. Tuttavia, in alcuni casi ciò non risulta possibile in quanto provoca un grave peggioramento della qualità della vita. Un’evenienza non comune, ma che fa riferimento solo alle situazioni in cui sono presenti contemporaneamente molte allergie. In questi casi si procede con delle immunoterapie, che prevedono l’esposizione graduale e crescente all’allergene nel tentativo di ripristinare una corretta risposta immunitaria. Nella peggiore delle ipotesi, ovvero quando la sensibilità è estrema si possono assumere farmaci chelanti, che di fatto disintossicano il corpo dalla sostanza incriminata. Per la celiachia vale lo stesso discorso, solo che in questo caso ci si ferma all’eliminazione del glutine. E’ infatti uno sforzo meno gravoso di quanto si pensa, dal momento che esistono molti alimenti che possono sostituire al meglio i cibi full-gluten. Discorso diverso, invece, per l’intolleranza al lattosio. Nella fattispecie è possibile evitare latte, latticini e formaggi freschi, o puntare sulle varianti delattosate. La rimozione del lattosio è un’operazione banale, che altera solo un po’ il gusto. Il procedimento consiste nell’immissione dell’enzima lattasi nel latte. Tale enzima, che manca negli intolleranti, di fatto “scompone” il lattosio. Il lattosio si trasforma poi in glucosio e galattosio, sostanze digeribili da chiunque.Lo stile di vita di chi soffre di intolleranze alimentari
Chi soffre di intolleranze alimentari o allergia va incontro a un drastico peggioramento della qualità della vita? Il senso comune suggerisce di sì. Se l’unica terapia possibile, eccettuati i casi speciali (es. immunoterapia) è rinunciare agli alimenti che provocano i sintomi, si fa presto a concludere che questi disturbi privano di uno dei piaceri della vita, ossia mangiare ciò che si vuole. Il ragionamento ha una sua fondatezza, ma corrisponde al vero solo se chi ha ricevuto una diagnosi “si lascia andare” e non reagisce con furbizia di fronte a un problema in effetti piuttosto grave. La verità è semplice: si può convivere con le intolleranze e con le allergie senza compromettere il proprio rapporto con il cibo. Insomma, si può evitare di scambiare le sofferenze fisiche (sintomi da intolleranze e allergie) con le sofferenze psicologiche. Il segreto sta nel cambiare il proprio approccio all’alimentazione, intraprendendo un percorso di conoscenza degli alimenti. La natura offre tanti alimenti in grado di sostituire quelli che, per una intolleranza o un’allergia sono off limits. Nella stragrande maggioranza dei casi sono buoni, nutrienti e porgono il fianco alla buona cucina. Per intraprendere questo percorso e portarlo a termine sono necessari alcuni “ingredienti”. In primo luogo è necessario metabolizzare la diagnosi sul piano psicologico. Non è un processo immediato, ma prima o poi tutti se ne fanno una ragione. Secondariamente è necessario sviluppare una forma mentis diversa e più aperta a nuovi sapori, che vanno oltre gli approcci diversi da quello “mediterraneo classico”. E’ un caso, ma buona parte degli alimenti “agibili” provengono da altri contesti, e lo stesso si può dire delle ricette che ne fanno uso. Infine, è bene sviluppare una vera cultura della condivisione. Coinvolgere il prossimo nel proprio percorso di crescita, o più banalmente condividere i pasti “anti-intolleranze” restituisce una dimensione di normalità e cambia la percezione che i “sani” hanno degli intolleranti e degli allergici.Alcuni dettagli sull’intolleranza al lattosio e sulla celiachia
Cosa significa, nello specifico, convivere con questi disturbi? Rispondo alla domanda limitando il campo di indagine a quelli più diffusi: l’intolleranza al lattosio e la celiachia. D’altronde, ne so qualcosa, visto che sono affetta da entrambe. Attualmente, dopo aver intrapreso un percorso di conoscenza e di evoluzione del mio rapporto con il cibo, posso dirmi soddisfatta. Per me questi disturbi non sono un problema in quanto ci convivo non solo sul piano psicologico, ma anche come stile di vita, applicando in modo oculato eventuali rinunce. Per esempio, affronto l’intolleranza al lattosio sostituendo il latte e i suoi derivati con versioni vegetali, come il latte di mandorla, il latte di cocco e il latte di soia. In alternativa, posso tranquillamente consumare prodotti delattosati, che sono buoni come quelli “normali” sebbene un po’ più costosi. La celiachia mi ha imposto un cambio di marcia pesante, che mi ha portato a scoprire tanti alimenti e a esprimere un livello di creatività in cucina per me inedito (ho sempre amato sperimentare). Sostituiscono la farina di frumento con quella di riso e di mais, come fanno tutti, ma allo stesso tempo consumo - e preparo deliziose ricette – con farine diverse e più esotiche. Qualche esempio? La farina di amaranto, la farina di quinoa, la farina di fonio etc. Non è uno sforzo, ma piuttosto un piacere. Anche perché nella stragrande maggioranza dei casi aggiungono un tocco di fantasia ai piatti. Senza considerare le loro proprietà nutrizionali, che sono spesso più accentuate rispetto delle farine standard. Non di rado contengono anche molte proteine e sono ricche di sali minerali e di vitamine. Per quanto concerne l’apporto calorico non ci sono grosse differenze, del resto la farina è sempre farina!
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Ebook scaricabili gratuitamente
In questa sezione potrete scaricare gratuitamente alcuni ebook che, sono sicura, vi saranno di grande aiuto in cucina.
Ebook, un formato perfetto per imparare divertendosi Qui su Nonnapaperina.it ho preparato per voi una sezione piena di ebook da scaricare gratuitamente. Gli ebook sono pieni di contenuti esposti in modo leggero e gradevole. Reputo, infatti, che questo formato sia l’ideale per imparare divertendosi, senza necessariamente appesantire il contenuto con testi troppo corposi. D’altronde, sono pensati per essere visualizzati con facilità anche dal cellulare, ovunque vi troviate.
Tutti gli ebook riprendono un tema e lo approfondiscono. Dopo una prima parte introduttiva e descrittiva, presentano alcune ricette ad hoc, corredate di indicazioni precise e immagini che mostrano il risultato finale. Troverete ovviamente una dettagliata lista di ingredienti (con particolare riferimento al dosaggio) e la preparazione della ricetta esposta in modo semplice ed alquanto creativo.
Perché quindi scaricare gli ebook? In primo luogo perché sono gratis, secondariamente perché rappresentano una risorsa per migliorare le proprie “performance” in cucina, senza doversi sorbire complicati e lunghi manuali. Avete solo l’imbarazzo della scelta, vista l’abbondanza dei temi che ho affrontato in questi anni.
Gli ebook tematici
Come ho già specificato, gli ebook sono principalmente “tematici”, ovvero affrontano un alimento, un pasto della giornata o un evento. Ho scelto questo approccio in quanto mi è sembrato quello più utile, in grado di fornire un valido aiuto a chi è alla ricerca di soluzioni per soddisfare una specifica esigenza.
Non mancano ovviamente gli ebook dedicati alle festività. In particolare, ho affrontato il tema della cucina natalizia, ma ho dedicato un ebook anche a feste meno tradizionali ma ormai radicate dalle nostre parti, come Halloween. Altri ebook si concentrano su uno specifico alimento, come la zucca, un ortaggio che merita di essere apprezzato non solo per il gusto e per le proprietà nutrizionali, ma anche per la sua versatilità. Quest’ultima qualità emerge anche solo sfogliando l’ebook, ricco di ricette molto diverse tra di loro.
Ho parlato anche dei pasti in sé. Per esempio, ho dedicato un ebook ai dessert, argomento che appassiona tutti colori che si cimentano in cucina. Inoltre, ho dedicato un ebook alle colazioni, a rimarcare l’importanza di questo pasto, e ai contorni (soprattutto insalate).
Un compromesso tra tradizione e sperimentazione
Tutti gli ebook procedono da un’attenta selezione di ricette. Ho cercato di raggiungere un equilibrio tra tradizione e sperimentazione, fondendo i due approcci. Reputo, infatti, che la tradizione vada rispettata, ma vadano lasciati margini per la creatività. L’importante è replicare lo “spirito” di un piatto tradizionale, a prescindere dalle sostituzioni che possono coinvolgere gli ingredienti.
In tutti gli ebook ho dato ampio spazio alle ricette anti intolleranze alimentari. Spesso vedrete ricette realizzate con basi senza glutine, con creme senza lattosio e con alimenti a basso contenuto di nichel. Inoltre, si potrebbe considerare questa scelta come una sorta di auto-limitazione. In realtà si tratta di un pregiudizio, e non è certo l’unico quando si indaga il rapporto tra il senso comune e le intolleranze alimentari.
Infondo, il messaggio che questi ebook vogliono lanciare è il linea con ciò che cerco di trasmettere con Nonnapaperina.it, ossia è possibile sconfiggere le intolleranze alimentari con la buona cucina e con un approccio creativo, che può essere condiviso con chiunque (intolleranti e non). Insomma, le ricette sono pensate a uso e consumo di celiaci e intolleranti in generale, e sono godibili anche da tutti gli altri. Un terreno comune che regala grandi soddisfazioni, a prescindere da disturbi e patologie. Fammi sapere che ne pensi!.
Don’t worry be happy
Non preoccuparti e sii felice. Questo è il mio motto.
Ricordo ancora quando, molti anni or sono, mi diagnosticarono non una ma ben tre intolleranze: al lattosio, al nichel e al glutine. Una dopo l’altra, senza nemmeno il tempo di metabolizzare la notizia. Mi sentivo perduta, mi prendeva il magone al solo pensiero di dover rinunciare ai miei piatti preferiti. Se è vero che anche il cibo è fonte di felicità, sentivo di averla persa per sempre.
Ben presto ho scoperto che la cucina è la chiave per uscirne e non perdere nulla nella vita. Sono sempre stata appassionata di cucina e del buon cibo. Ho sempre manifestato interesse per le ricette della tradizione italiana e per quelle estere. Inoltre, non mi sono mai tirata indietro quando si trattava di sperimentare. Proprio l’apertura mentale al nuovo mi ha salvata. Ho capito ben presto che là fuori c’era una marea di alimenti ancora alla mia portata, e infinite ricette con cui valorizzarli.
Nonnapaperina.it nasce proprio per questo scopo, ossia condividere con voi non solo le ricette per intolleranti, ma anche un approccio diverso alla gestione della malattia. Un approccio che non punta a limitare i danni, ma a trovare la felicità in una cucina solo all’apparenza diversa. In tutto ciò mi ha spinto il senso di condivisione, che non mi è mai mancato, ma anche la consapevolezza di poter fare del bene, contribuendo alla serenità altrui.
Nonnapaperina.it nel suo piccolo è la dimostrazione di come le intolleranze alimentari possano essere sconfitte proprio sul terreno in cui sembrano avere vita facile: l’alimentazione. In realtà le difficoltà della vita sono un’occasione per mettersi in gioco. Un paradosso buffo, ma che trova conferme nella vita reale: le difficoltà spingono a mettersi in gioco, e mettersi in gioco significa superare le difficoltà.
Mi rivolgo a tutti coloro che hanno ricevuto di recente una diagnosi di intolleranza alimentare, di allergia alimentare o di celiachia. Sentitevi in diritto di dispiacervi per tutto il tempo necessario, prendetevi tutto il tempo che vi serve per elaborare la notizia. Dopo, però, rialzatevi e reagite. Anche perché potete farlo. La soluzione è a portata di mano e anche divertente, ossia ripensare la cucina, l’alimentazione e il proprio rapporto con il cibo.
Vi consiglio anche di abbandonare prima possibile i pensieri negativi che, certamente, stanno affollando la vostra mente. Lo so perché ci sono passata anche io. Un esempio? La convinzione che la condizione di intollerante alimentare segni un solco rispetto al prossimo e alle altre persone è molto consistente. D’altronde, non potete mangiare alcune delle cose che gli altri mangiano tutti i giorni!
E’ un pensiero negativo e falso. In primo luogo, il concetto di intolleranza alimentare è entrato stabilmente nell’immaginario collettivo, dunque nessuno si stupisce di una persona che soffre di questo disturbo. Oggi più che mai lo stigma della malattia è superfluo e fuori luogo. Secondariamente gli alimenti a disposizione degli intolleranti e le ricette che su di essi si basano sono buoni per tutti, anche per chi non soffre di problemi del genere. Insomma, la “ghettizzazione” non ha senso di esistere, men che meno quella in cui il presunto malato relega se stesso.
Anzi, molti accolgono con gioia la possibilità di sperimentare nuovi piatti in cucina. Un dolce realizzato con una farina alternativa può suscitare maggiore interesse rispetto a un dolce classico. E poco importa se si toccano le corde dell’appartenenza. Non è certo un alimento a fare di un piatto il simbolo della tradizione!
Stesso discorso per la paura di provocare fastidi agli altri nelle occasioni sociali, quando si va a mangiare fuori tutti assieme. Quello delle intolleranze alimentari non è affatto un tabù, dunque tutte o quasi le attività di ristorazione offrono alternative a chi soffre di intolleranza al lattosio, al nichel, o per chi è affetto da celiachia e da allergie. Per questo motivo vi consiglio di fare come me, anche se la diagnosi vi ha sconvolto e vi ha preso in contropiede. Non preoccupatevi, siate felici. La soluzione c’è ed è molto concreta.
Ho aperto questo mio excursus sulle intolleranze alimentari e allergie alimentari con un riferimento alle mie diagnosi. In realtà la mia storia da questo punto di vista è un po’ più lunga e complessa. Vale la pena raccontarla, in quanto può offrire qualche spunto per superare certi passaggi forse un po’ più ardui. Il giro di boa più importante è avvenuto a qualche mese di distanza dalle prime diagnosi, quando ero già venuta a patti con la mia nuova condizione.
Ebbene, non ero più intollerante al nichel, ma ero proprio allergica. La notizia non mi ha sconvolto più di tanto in quanto si trattava pur sempre di evitare o gestire il nichel. Tuttavia, ho scoperto sulla mia pelle che l’allergia porta ad una sensibilità ancora più spiccata. Azzerare il nichel è impossibile, dunque mi sono sottoposta inizialmente a una terapia iposensibilizzante, che punta a introdurre nel mio corpo quantità di nichel dapprima minime, e poi via via più elevate, in modo da abituare l’organismo.
La terapia è fallita, in quanto la mia estrema sensibilità alla sostanza non lasciava margini di manovra. Ho provato quasi subito con una terapia chelante, che invece consiste nella disintossicazione naturale da alcuni metalli, nichel in primis. Questo rimedio ha funzionato, in quanto in poco tempo ho smesso di accusare i sintomi e ho potuto sospendere i cortisonici (che i sintomi li tenevano a bada).
Cosa dimostra la mia storia? Semplicemente, anche quando gli ostacoli sembrano insormontabili, esiste sempre una soluzione. Nel campo dell’alimentazione il mio caso è abbastanza particolare, eppure sono qui, soddisfatta della mia dieta e del mio rapporto con il cibo.
Cosa può fare per voi Nonnapaperina.it
Ho già introdotto il motivo per cui ho intrapreso il progetto di Nonnapaperina.it, ossia condivisione della mia esperienza e la possibilità, per tutti, di fruire di soluzioni a portata di mano per un’alimentazione a prova di intolleranze alimentari. Tanto vale, quindi, parlare un po’ del sito e dare qualche consiglio per “viverlo” al meglio. Ad esempio, per la vita di tutti i giorni, fate riferimento alla sezione “ricette per intolleranti”. Ne trovate a bizzeffe, tutte categorizzate per portata (primi, secondi etc.), momento della giornata (colazione, pranzo, cena), funzione (basi, impasti, creme, salse) e molto altro ancora.
Non trascurate, però, anche la sezione sulle festività. Se il principio cardine del progetto è la condivisione, allora la palla passa presto a voi, quindi condividete liberamente le ricette con i vostri cari e con i vostri amici. E quale migliore occasione di una festività, sia essa il Natale, la Pasqua o la Festa della Mamma? Non di rado le ricette hanno un ché di artistico. I piatti porgono il fianco a un concetto “elevato” di cucina, che coinvolge non solo il senso del gusto, ma pone le basi per un’esperienza a tutto tondo. Il tutto a uso e consumo degli intolleranti alimentari, o degli amanti del buon cibo in generale.
Il consiglio, comunque, è quello di spaziare. Il sito è basato sul principio dell’ipertesto, ossia ciascuna ricetta ne richiama altre, e molte altre ancora. Lasciatevi trasportare e vi sembrerà realmente di intraprendere un viaggio nella cucina anti-intolleranze alimentari, nella sua versione più “friendly” e divertente! Buona degustazione a tutti!
Intolleranze alimentari e allergie si sconfiggono a tavola
Quello delle intolleranze alimentari e delle allergie rischia di diventare un problema di ordine sociale se non viene gestito con attenzione. In primis per le dimensioni del fenomeno. Si stima, infatti, che circa il 10% della popolazione soffra di un qualche disturbo legato all’assorbimento di sostanze alimentari e, allo stesso tempo, in grado di generare sintomi più o meno importanti. Sul banco degli imputati vi sono l’intolleranza al lattosio e la celiachia, che sono le patologie in assoluto più diffuse, ma vanno prese in considerazione anche l’allergia e la sensibilità al nichel.
Per inciso, la distinzione tra intolleranza e allergia è fondamentale ai fini medici. I sintomi sono infatti diversi per tipologia o per intensità (o per entrambi). A fare il bello è il cattivo tempo è in particolar modo l’allergia, che coinvolge il sistema immunitario e quindi determina una sintomatologia spesso e volentieri sistemica. Le intolleranze alimentari, invece, producono prevalentemente sintomi gastrointestinali. Discorso a parte per la celiachia, che tecnicamente non è un’allergia, ma coinvolge ugualmente il sistema immunitario.
La distinzione tra intolleranza e allergia, tuttavia, assume una posizione di secondo piano per quanto concerne gli approcci terapici, o per meglio dire “di gestione”. Al netto di alcune eccezioni, che riguardano i casi di “scarsa tollerabilità”, intolleranze e allergie vanno trattate allo stesso modo, ovvero evitando le sostanze che creano i disturbi. Nella quasi totalità dei casi, infatti, non esiste una terapia risolutiva e quindi la guarigione è un’ipotesi da escludere.
Ne è consapevole chi viene raggiunto da una diagnosi di intolleranza o allergia. L’impatto emotivo della diagnosi è molto forte proprio per l’impossibilità di raggiungere una guarigione completa. Sia chiaro, il disorientamento iniziale è fisiologico e giustificato. Tuttavia, deve essere destinato a durare poco, ovvero il tempo necessario a prendere atto della buona notizia riguardante intolleranti e allergici: convivere con questi disturbi si può! E’ possibile quindi convivere con i disturbi alimentari senza rinunciare ai propri piatti preferiti e senza dire addio al proprio stile alimentare.
Non surrogati ma scelte alimentari consapevoli
Le intolleranze alimentari e le allergie si combattono non solo con le armi della medicina, ma anche attraverso un cambio di mentalità, che a sua volta coinvolge il modo di intendere la cucina. Il trucco è semplice, basta non guardare agli alimenti anallergici e anti-intolleranze come a dei surrogati degli “alimenti normali”. Gli alimenti per intolleranti sono infatti alimenti dotati di una propria specificità e in grado di offrire molto sul piano organolettico e visivo.
Chi soffre di intolleranze alimentari e di allergia non dovrebbe replicare il consumo di latte, pane o altri alimenti, ma dovrebbe valorizzare gli alimenti a cui può attingere in tutta sicurezza. Adottare questo approccio significa innanzitutto svincolarsi dal ruolo del “malato”, focalizzandosi in realtà su altri alimenti.
Ad aiutarci in questo senso c’è la natura con le sue molteplici varietà. Gli alimenti che fanno al caso del celiaco, o all’intollerante al lattosio, sono numerosi e spesso buoni e belli da vedere; inoltre sono molto versatili in quanto possono dare inizio a molte ricette davvero sfiziose. Non lo sono solo per chi soffre di queste patologie, ma anche per tutti gli altri. Le implicazioni dal punto di vista sociale sono evidenti.
Col mio sito di cucina porto avanti esattamente questa filosofia. Non è solo uno spazio per conoscere ricette, ma anche un vero e proprio manifesto per chi vuole affrontare le intolleranze alimentari con armi meno tediose di quelle esclusivamente sanitarie. In quest’ottica la farina di riso non è un surrogato della farina tradizionale, ma un elemento a parte con cui realizzare ricette deliziose, che si abbinano con una grande varietà di ingredienti. E lo stesso, ovviamente, si può dire delle farine di amaranto, di fonio, di quinoa etc. Un discorso simile può essere fatto anche per l’intolleranza al lattosio. Al netto della possibilità di delattosare il latte, le varianti vegetali godono di una propria dignità gastronomica e porgono il fianco a un interessante approccio creativo in cucina.
Tra l’altro, questo cambiamento forzato pone le condizioni per un viaggio attraverso le cucine alternative e gli alimenti più esotici. Ecco che si capovolge la prospettiva: intolleranze e allergia non sono solo una condizione gestibile, ma anche un’occasione di arricchimento.
Intolleranze alimentari e socialità, un falso problema
Un altro dei motivi per cui la diagnosi di intolleranza o allergia fa molta paura, gettando nello sconforto chi ne soffre, riguarda le implicazioni per la vita sociale. Chi ha ricevuto una diagnosi da poco è convinto nella maggior parte dei casi che la sua patologia inciderà negativamente sulle occasioni di socialità, sia dal punto di vista psicologico – emotivo che dal punto di vista pratico. Il timore è quello di sentirsi diversi e in qualche modo lontani dai canoni della normalità, questo può portare a disagi anche tra parenti e amici.
In realtà sono paure infondate. In primo luogo una condizione patologica non corrisponde a una condizione di “anormalità” (al netto dell’inconsistenza semantica del termine). Secondariamente basta un minimo di organizzazione e di consapevolezza per gestire anche le occasioni di socialità. Anzi, quando queste si svolgono fuori di casa, ossia nei locali adibiti alla ristorazione, la questione è addirittura più semplice. I gestori infatti sono nella maggior parte dei casi preparati ad accogliere clienti con intolleranze e allergie. In ogni caso basta informarsi prima e scegliere di conseguenza.
Ma il problema non si pone nemmeno se si mangia a casa di altri, o se si invitano a casa propria delle persone. In primo luogo perché le diagnosi di questo tipo non fanno scalpore in quanto sono ormai molto diffuse. In secondo luogo perché i piatti per chi soffre di intolleranze alimentari sono in realtà buoni per tutti, anche per chi non soffre di alcun disturbo. Al netto di tutto ciò, se si pone attenzione al tema della contaminazione alimentare, cucinare per intolleranti alimentari (o per allergici) è più semplice di quanto si possa immaginare.