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Topinambur
Il topinambur, una riscoperta recente
Il topinambur è conosciuto anche come rapa tedesca, carciofo di Gerusalemme e girasole di Canada. Tanti nomi per indicare un tubero molto simile alla patata e molto facile da coltivare, infatti non ha grandi esigenze in quanto a clima e suolo. Si tratta di una pianta erbacea con un notevole apparato radicale, da cui vengono presi i tuberi di colore bianco, o con tonalità che vanno dal rosso al viola.
In passato era impiegato come alimento per gli animali, ma ultimamente è stato riscoperto anche come risorsa per l’alimentazione umana. Il merito di questa riscoperta va al suo sapore molto delicato e affine al carciofo, oltre alla rinnovata consapevolezza sul suo valore nutrizionale, che è tutt’altro che trascurabile.
A cosa fa bene il topinambur
Il topinambur, pur assomigliando per gusto e aspetto alla patata (è in realtà un po’ più duro e sferico), ha diversi benefici. Tanto per iniziare è meno calorico, infatti 100 grammi di prodotto contengono circa 30 kcal. E’ inoltre ricco di vitamina A, che fa bene alla vista, e di vitamine del gruppo B.
Per quanto concerne i sali minerali, fornisce una buona quantità di fosforo, calcio e magnesio. Il topinambur contiene anche tanti batteri utili per l’intestino quali i bifidobatteri e i lattobacilli. Un’altra caratteristica positiva del topinambur è che, a fronte di un’offerta di carboidrati di tutto rispetto, presenta un indice glicemico estremamente basso, persino inferiore a quello delle patate.
Le differenti varietà i topinambur
I tuberi di topinambur (Helianthus tuberosus), che somigliano molto alle patate dolci, hanno un sapore dolce e delicato che ricorda vagamente quello del carciofo. Il topinambur appartiene alla stessa famiglia del girasole ed era coltivato intensamente dagli Indiani d’ America. Nel 1605, l’esploratore francese Samuel de Champlain trovò questi tuberi in un giardino indiano a Cape Cod e li importò. Si trova sui mercati alla fine dell’autunno. Preferite tuberi sodi, con buccia marroncino-violacea, senza ammaccature o lesioni superficiali.
Si raggrinzisce facilmente se esposto all’aria, dovrebbe quindi essere avvolto strettamente in sacchetti di plastica e conservato in frigorifero.
Il topinambur, avendo solo di recente guadagnato la ribalta, non è stato oggetto di attenzioni “botaniche” particolari. Sicché è piuttosto omogeneo e le varietà si contano sulle dita di una mano, anzi sono essenzialmente due: il topinambur bianco e il topinambur rosso.
Il primo è piuttosto precoce e si caratterizza per un sapore intenso e quasi acre. Il secondo è tardivo e si caratterizza per sentori più dolci e una maggiore morbidezza.
Come utilizzarlo in cucina
Il tubero topinambur, ortaggio simile alla patata, non può essere consumato crudo (sebbene contenga meno sostanze tossiche). Tuttavia, i suoi utilizzi sono simili a quelli della patata.E’ un tubero al sapore di carciofo. Il topinambur, in effetti, viene considerato un surrogato dietetico della patata, dunque può essere consumato bollito, fritto, ridotto in purea etc. Questo tubero interviene essenzialmente in qualità di contorno, sia ai secondi di pesce che di carne.
Tuttavia, può essere trasformato anche in farina, che ha il pregio di non contenere glutine. Essa, però, non ha grandi capacità panificatorie, sicché deve essere accompagnata sempre ad altre farine. Il topinambur si regge anche sulle sue gambe, infatti può essere protagonista di ricette dedicate. A tal proposito in Germania vengono preparate delle ottime torte salate a base di questo interessante ortaggio.
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Mai fare autodiagnosi!
Leggere con attenzione!
Si fa un gran parlare di intolleranze alimentari e di allergie alimentari. Il problema è che spesso se ne parla male, si confondono le acque e si traggono consigli inefficaci.
Per esempio, è comune l’idea secondo cui intolleranza e allergia siano la stessa cosa. Non è così. Certo, di tanto in tanto i sintomi sono sovrapponibili, e una sostanza può essere contemporaneamente causa di intolleranza e allergia, ma si tratta di due disturbi diversi.
L’intolleranza è la reazione negativa all’assunzione con una determinata sostanza. L’allergia, invece, è la reazione negativa al contatto con una determinata sostanza. Tale contatto può essere frutto di un’assunzione vera e propria, ma non è una esclusiva, ossia può avvenire anche solo a livello cutaneo.
L’intolleranza raramente coinvolge il sistema immunitario, mentre coinvolge più frequentemente gli organi dell’apparato digerente. Nella stragrande maggioranza dei casi un individuo è intollerante perché il suo organismo non contiene gli enzimi necessari al metabolismo di una sostanza. E’ il caso dell’enzima lattasi per gli intolleranti al lattosio. Di contro, l’allergia coinvolge sempre il sistema immunitario. Per ragioni spesso genetiche, l’organismo individua in quella specifica sostanza un “nemico”, un corpo estraneo e pericoloso, dunque reagisce in maniera “scomposta”.
Si segnalano differenze anche per quanto concerne l’incidenza. Le percentuali cambiano da popolazione a popolazione, visto e considerato la forte componente genetica di questi disturbi. Tuttavia, secondo stime recenti fino al 4% della popolazione soffre di una qualche forma di allergia alimentare. Le percentuali riguardanti, invece, le intolleranze alimentari sono ancora più elevate. Si parla anche del 20-30%. Il dato è “sporcato” dall’incidenza dell’intolleranza al lattosio, che è incredibilmente diffusa. Le allergie tendono ad esordire nei primi anni di vita, e in alcuni casi spariscono raggiunta l’età adulta. Le intolleranze, invece, compaiono più frequentemente superata l’adolescenza.
Sintomi e sostanze scatenanti
Da quanto appena detto deriva anche l’eterogeneità di sintomi che allergie e intolleranze provocano. I sintomi delle allergie sono sovente sistemici e violenti, e possono includere forte malessere, rush e problemi respiratori. Se l’interazione con la sostanza avviene a livello cutaneo, si possono notare eczemi in corrispondenza della zona di contatto. E’ il caso dell’allergia al nichel. Non mancano, soprattutto in caso di assunzione, problemi gastrointestinali, come dolori, crampi, diarrea e nausea.
I sintomi delle intolleranze sono più circoscritti e sono principalmente gastrointestinali. Ciò si verifica – nella maggior parte dei casi – in quanto l’organismo non riesce ad assimilare la sostanza, dunque produce gas nel tentativo di farlo. Tale abnorme quantità di gas provoca i sintomi che abbiamo appena descritto. Questo è proprio il caso dell’intolleranza al lattosio, infatti il lattosio rimane per lo più integro, anziché scomporsi in glucosio e galattosio, stimolando un accumulo di gas.
Una differenza tra allergie e intolleranze, che spesso viene scambiata per punto in comune, è la classe di sostanze che scatenano le une e le altre. Nel caso delle allergie, la sostanza incriminata è un alimento nel suo complesso. Nel caso delle intolleranze, è spesso una molecola, uno zucchero o una proteina. Le allergie alimentari più comuni riguardano il latte, il miglio, il frumento, le uova e i crostacei. Le intolleranze alimentari più comuni, invece, riguardano il lattosio, il glutine e così via.
Ciò pone in essere conseguenze diversificate sul tenore di vita. In buona sostanza, quello degli allergici risulta molto più compromesso. Dover evitare una sostanza è un conto, dover evitare un alimento è un altro paio di maniche. Giusto per fare un esempio, chi è intollerante al lattosio può comunque bere latte e consumare latticini, purché siano delattosati. Chi è allergico al latte non dispone di questa possibilità.
Come diagnosticare allergie e intolleranze?
La diagnosi delle allergie alimentari è sostanzialmente clinica, dunque è frutto dell’osservazione di reazioni visibili e misurabili empiricamente. Ciò ha determinato la convinzione secondo cui anche il singolo individuo possa giungere a una diagnosi, senza l’aiuto di un esperto. In realtà è un errore madornale. L’autodiagnosi è fallace in quanto per individuare correttamente la malattia è necessario un bagaglio di conoscenze utile ai fini dell’interpretazione dei fenomeni. Inoltre, è anche pericolosa in quanto si rischia di scatenare i sintomi della malattia.
E’ vero che la diagnosi passa per prove ed errori, ma queste devono susseguirsi in una prospettiva di riduzione dei rischi propria della professione medica. Dunque, sì all’eliminazione dalla dieta di questo o quell’elemento, per capire se è proprio lui a scatenare i sintomi allergici. Si anche all’aggiunta di dosi ulteriori del sospetto allergene per verificare la reazione dell’organismo, ma secondo tappe e indicazioni ben precise, fornite dallo specialista. Anche l’intolleranza viene diagnostica o più frequentemente “scovata” con l’aggiunta o la sottrazione di elementi specifici dalla dieta. Il primo scopo è comunque escludere l’allergia, cosa tra l’altro abbastanza semplice vista la diversità di sintomi.
In alcuni casi sono a disposizione alcuni test che garantiscono una diagnosi. E’ il caso del breath test per le intolleranze al lattosio. Il paziente viene invitato a consumare del latte, in modo progressivo. Successivamente, soffia in un macchinario che analizza la composizione dell’aria immessa. Se si riscontra una quantità di anidride carbonica esagerata, allora si è in presenza di una intolleranza, infatti l’abbondanza di CO2 è causata proprio dalla cattiva digestione e dal malassorbimento. Se vi è un sospetto caso di celiachia, invece, si possono realizzare degli esami del sangue per rintracciare gli anticorpi specifici, in quanto tale patologia “stimola” comunque il sistema immunitario.
Gli esami strumentali nello specifico
Vale la pena approfondire la questione degli esami strumentali. Molti, infatti, pensano all’iter diagnostico con un po’ di timore reverenziale, immaginando chissà quale pratica complessa o dolorosa. In realtà è tutto molto semplice, e nemmeno troppo scomodo. Ciò vale soprattutto per il breath test. Sul meccanismo di azione ho già accennato qualcosa prima, rimane da affrontare il tema della “preparazione”, che merita particolare attenzione. Infatti, non ci si può presentare al breath test come se nulla fosse, ma occorre seguire delle regole ben precise.
La più importante riguarda il digiuno: esso deve durare per le otto ore precedenti al test. Lo scopo è quello di giungere con lo stomaco e gli intestini “vuoti”, analizzando al meglio l’impatto del lattosio sull’apparato digerente senza interferenze. Stesso discorso per il fumo. Il consumo di tabacco, infatti, può alterare – seppur impercettibilmente – l’attività respiratoria, inducendo all’errore l’esaminatore. E’ bene, poi, consumare cibo leggero in occasione dell’ultimo pasto (almeno otto ore prima del test). A tal proposito, si consiglia riso, carne o pesce, degli alimenti che producono pochi gas intestinali.
Più complessi sono i test per la diagnosi della celiachia, almeno dal punto di vista medico. Per il paziente sono una “passeggiata”, in quanto constano di un semplice prelievo di sangue. Questo viene poi analizzato per verificare la presenza di anticorpi specifici contro il glutine. Gli anticorpi possono essere anti-transglutaminasi (tTG), anti-gliadina (AGA) e anti-endomisio. I risultati, per ovvi motivi, sono difficili da leggere, ma per questo ci sono esperti e specialisti.
Se i risultati non sono chiari, o se la celiachia è a uno stadio precoce, è possibile sottoporsi ad alcuni test genetici. Questi hanno lo scopo di verificare la presenza di componenti genetiche associate alla celiachia. I test genetici sono comunque abbastanza rari, anche perchè costano parecchio.
Comportamenti e terapie
Quando si è in presenza di un’allergia alimentare, l’unica terapia realmente a portata di mano è l’esclusione totale dell’alimento dalla propria dieta. Tuttavia, in alcuni casi ciò non risulta possibile in quanto provoca un grave peggioramento della qualità della vita. Un’evenienza non comune, ma che fa riferimento solo alle situazioni in cui sono presenti contemporaneamente molte allergie.
In questi casi si procede con delle immunoterapie, che prevedono l’esposizione graduale e crescente all’allergene nel tentativo di ripristinare una corretta risposta immunitaria. Nella peggiore delle ipotesi, ovvero quando la sensibilità è estrema si possono assumere farmaci chelanti, che di fatto disintossicano il corpo dalla sostanza incriminata. Per la celiachia vale lo stesso discorso, solo che in questo caso ci si ferma all’eliminazione del glutine. E’ infatti uno sforzo meno gravoso di quanto si pensa, dal momento che esistono molti alimenti che possono sostituire al meglio i cibi full-gluten.
Discorso diverso, invece, per l’intolleranza al lattosio. Nella fattispecie è possibile evitare latte, latticini e formaggi freschi, o puntare sulle varianti delattosate. La rimozione del lattosio è un’operazione banale, che altera solo un po’ il gusto. Il procedimento consiste nell’immissione dell’enzima lattasi nel latte. Tale enzima, che manca negli intolleranti, di fatto “scompone” il lattosio. Il lattosio si trasforma poi in glucosio e galattosio, sostanze digeribili da chiunque.
Lo stile di vita di chi soffre di intolleranze alimentari
Chi soffre di intolleranze alimentari o allergia va incontro a un drastico peggioramento della qualità della vita? Il senso comune suggerisce di sì. Se l’unica terapia possibile, eccettuati i casi speciali (es. immunoterapia) è rinunciare agli alimenti che provocano i sintomi, si fa presto a concludere che questi disturbi privano di uno dei piaceri della vita, ossia mangiare ciò che si vuole. Il ragionamento ha una sua fondatezza, ma corrisponde al vero solo se chi ha ricevuto una diagnosi “si lascia andare” e non reagisce con furbizia di fronte a un problema in effetti piuttosto grave.
La verità è semplice: si può convivere con le intolleranze e con le allergie senza compromettere il proprio rapporto con il cibo. Insomma, si può evitare di scambiare le sofferenze fisiche (sintomi da intolleranze e allergie) con le sofferenze psicologiche. Il segreto sta nel cambiare il proprio approccio all’alimentazione, intraprendendo un percorso di conoscenza degli alimenti. La natura offre tanti alimenti in grado di sostituire quelli che, per una intolleranza o un’allergia sono off limits. Nella stragrande maggioranza dei casi sono buoni, nutrienti e porgono il fianco alla buona cucina.
Per intraprendere questo percorso e portarlo a termine sono necessari alcuni “ingredienti”. In primo luogo è necessario metabolizzare la diagnosi sul piano psicologico. Non è un processo immediato, ma prima o poi tutti se ne fanno una ragione. Secondariamente è necessario sviluppare una forma mentis diversa e più aperta a nuovi sapori, che vanno oltre gli approcci diversi da quello “mediterraneo classico”. E’ un caso, ma buona parte degli alimenti “agibili” provengono da altri contesti, e lo stesso si può dire delle ricette che ne fanno uso.
Infine, è bene sviluppare una vera cultura della condivisione. Coinvolgere il prossimo nel proprio percorso di crescita, o più banalmente condividere i pasti “anti-intolleranze” restituisce una dimensione di normalità e cambia la percezione che i “sani” hanno degli intolleranti e degli allergici.
Alcuni dettagli sull’intolleranza al lattosio e sulla celiachia
Cosa significa, nello specifico, convivere con questi disturbi? Rispondo alla domanda limitando il campo di indagine a quelli più diffusi: l’intolleranza al lattosio e la celiachia. D’altronde, ne so qualcosa, visto che sono affetta da entrambe. Attualmente, dopo aver intrapreso un percorso di conoscenza e di evoluzione del mio rapporto con il cibo, posso dirmi soddisfatta. Per me questi disturbi non sono un problema in quanto ci convivo non solo sul piano psicologico, ma anche come stile di vita, applicando in modo oculato eventuali rinunce.
Per esempio, affronto l’intolleranza al lattosio sostituendo il latte e i suoi derivati con versioni vegetali, come il latte di mandorla, il latte di cocco e il latte di soia. In alternativa, posso tranquillamente consumare prodotti delattosati, che sono buoni come quelli “normali” sebbene un po’ più costosi.
La celiachia mi ha imposto un cambio di marcia pesante, che mi ha portato a scoprire tanti alimenti e a esprimere un livello di creatività in cucina per me inedito (ho sempre amato sperimentare). Sostituiscono la farina di frumento con quella di riso e di mais, come fanno tutti, ma allo stesso tempo consumo – e preparo deliziose ricette – con farine diverse e più esotiche. Qualche esempio? La farina di amaranto, la farina di quinoa, la farina di fonio etc.
Non è uno sforzo, ma piuttosto un piacere. Anche perché nella stragrande maggioranza dei casi aggiungono un tocco di fantasia ai piatti. Senza considerare le loro proprietà nutrizionali, che sono spesso più accentuate rispetto delle farine standard. Non di rado contengono anche molte proteine e sono ricche di sali minerali e di vitamine. Per quanto concerne l’apporto calorico non ci sono grosse differenze, del resto la farina è sempre farina!
Cucina con gli ingredienti di stagione
Don’t worry be happy
Cosa può fare per voi Nonnapaperina.it
Ho già introdotto il motivo per cui ho intrapreso il progetto di Nonnapaperina.it, ossia condivisione della mia esperienza e la possibilità, per tutti, di fruire di soluzioni a portata di mano per un’alimentazione a prova di intolleranze alimentari. Tanto vale, quindi, parlare un po’ del sito e dare qualche consiglio per “viverlo” al meglio. Ad esempio, per la vita di tutti i giorni, fate riferimento alla sezione “ricette per intolleranti”. Ne trovate a bizzeffe, tutte categorizzate per portata (primi, secondi etc.), momento della giornata (colazione, pranzo, cena), funzione (basi, impasti, creme, salse) e molto altro ancora. Non trascurate, però, anche la sezione sulle festività. Se il principio cardine del progetto è la condivisione, allora la palla passa presto a voi, quindi condividete liberamente le ricette con i vostri cari e con i vostri amici. E quale migliore occasione di una festività, sia essa il Natale, la Pasqua o la Festa della Mamma? Non di rado le ricette hanno un ché di artistico. I piatti porgono il fianco a un concetto “elevato” di cucina, che coinvolge non solo il senso del gusto, ma pone le basi per un'esperienza a tutto tondo. Il tutto a uso e consumo degli intolleranti alimentari, o degli amanti del buon cibo in generale. Il consiglio, comunque, è quello di spaziare. Il sito è basato sul principio dell’ipertesto, ossia ciascuna ricetta ne richiama altre, e molte altre ancora. Lasciatevi trasportare e vi sembrerà realmente di intraprendere un viaggio nella cucina anti-intolleranze alimentari, nella sua versione più “friendly” e divertente! Buona degustazione a tutti! Intolleranze alimentari e allergie si sconfiggono a tavola Quello delle intolleranze alimentari e delle allergie rischia di diventare un problema di ordine sociale se non viene gestito con attenzione. In primis per le dimensioni del fenomeno. Si stima, infatti, che circa il 10% della popolazione soffra di un qualche disturbo legato all’assorbimento di sostanze alimentari e, allo stesso tempo, in grado di generare sintomi più o meno importanti. Sul banco degli imputati vi sono l’intolleranza al lattosio e la celiachia, che sono le patologie in assoluto più diffuse, ma vanno prese in considerazione anche l’allergia e la sensibilità al nichel. Per inciso, la distinzione tra intolleranza e allergia è fondamentale ai fini medici. I sintomi sono infatti diversi per tipologia o per intensità (o per entrambi). A fare il bello è il cattivo tempo è in particolar modo l’allergia, che coinvolge il sistema immunitario e quindi determina una sintomatologia spesso e volentieri sistemica. Le intolleranze alimentari, invece, producono prevalentemente sintomi gastrointestinali. Discorso a parte per la celiachia, che tecnicamente non è un’allergia, ma coinvolge ugualmente il sistema immunitario. La distinzione tra intolleranza e allergia, tuttavia, assume una posizione di secondo piano per quanto concerne gli approcci terapici, o per meglio dire “di gestione”. Al netto di alcune eccezioni, che riguardano i casi di “scarsa tollerabilità”, intolleranze e allergie vanno trattate allo stesso modo, ovvero evitando le sostanze che creano i disturbi. Nella quasi totalità dei casi, infatti, non esiste una terapia risolutiva e quindi la guarigione è un'ipotesi da escludere. Ne è consapevole chi viene raggiunto da una diagnosi di intolleranza o allergia. L’impatto emotivo della diagnosi è molto forte proprio per l’impossibilità di raggiungere una guarigione completa. Sia chiaro, il disorientamento iniziale è fisiologico e giustificato. Tuttavia, deve essere destinato a durare poco, ovvero il tempo necessario a prendere atto della buona notizia riguardante intolleranti e allergici: convivere con questi disturbi si può! E’ possibile quindi convivere con i disturbi alimentari senza rinunciare ai propri piatti preferiti e senza dire addio al proprio stile alimentare.Non surrogati ma scelte alimentari consapevoli
Le intolleranze alimentari e le allergie si combattono non solo con le armi della medicina, ma anche attraverso un cambio di mentalità, che a sua volta coinvolge il modo di intendere la cucina. Il trucco è semplice, basta non guardare agli alimenti anallergici e anti-intolleranze come a dei surrogati degli “alimenti normali”. Gli alimenti per intolleranti sono infatti alimenti dotati di una propria specificità e in grado di offrire molto sul piano organolettico e visivo. Chi soffre di intolleranze alimentari e di allergia non dovrebbe replicare il consumo di latte, pane o altri alimenti, ma dovrebbe valorizzare gli alimenti a cui può attingere in tutta sicurezza. Adottare questo approccio significa innanzitutto svincolarsi dal ruolo del “malato”, focalizzandosi in realtà su altri alimenti. Ad aiutarci in questo senso c’è la natura con le sue molteplici varietà. Gli alimenti che fanno al caso del celiaco, o all’intollerante al lattosio, sono numerosi e spesso buoni e belli da vedere; inoltre sono molto versatili in quanto possono dare inizio a molte ricette davvero sfiziose. Non lo sono solo per chi soffre di queste patologie, ma anche per tutti gli altri. Le implicazioni dal punto di vista sociale sono evidenti. Col mio sito di cucina porto avanti esattamente questa filosofia. Non è solo uno spazio per conoscere ricette, ma anche un vero e proprio manifesto per chi vuole affrontare le intolleranze alimentari con armi meno tediose di quelle esclusivamente sanitarie. In quest’ottica la farina di riso non è un surrogato della farina tradizionale, ma un elemento a parte con cui realizzare ricette deliziose, che si abbinano con una grande varietà di ingredienti. E lo stesso, ovviamente, si può dire delle farine di amaranto, di fonio, di quinoa etc. Un discorso simile può essere fatto anche per l’intolleranza al lattosio. Al netto della possibilità di delattosare il latte, le varianti vegetali godono di una propria dignità gastronomica e porgono il fianco a un interessante approccio creativo in cucina. Tra l’altro, questo cambiamento forzato pone le condizioni per un viaggio attraverso le cucine alternative e gli alimenti più esotici. Ecco che si capovolge la prospettiva: intolleranze e allergia non sono solo una condizione gestibile, ma anche un’occasione di arricchimento.Intolleranze alimentari e socialità, un falso problema
Un altro dei motivi per cui la diagnosi di intolleranza o allergia fa molta paura, gettando nello sconforto chi ne soffre, riguarda le implicazioni per la vita sociale. Chi ha ricevuto una diagnosi da poco è convinto nella maggior parte dei casi che la sua patologia inciderà negativamente sulle occasioni di socialità, sia dal punto di vista psicologico - emotivo che dal punto di vista pratico. Il timore è quello di sentirsi diversi e in qualche modo lontani dai canoni della normalità, questo può portare a disagi anche tra parenti e amici. In realtà sono paure infondate. In primo luogo una condizione patologica non corrisponde a una condizione di “anormalità” (al netto dell’inconsistenza semantica del termine). Secondariamente basta un minimo di organizzazione e di consapevolezza per gestire anche le occasioni di socialità. Anzi, quando queste si svolgono fuori di casa, ossia nei locali adibiti alla ristorazione, la questione è addirittura più semplice. I gestori infatti sono nella maggior parte dei casi preparati ad accogliere clienti con intolleranze e allergie. In ogni caso basta informarsi prima e scegliere di conseguenza. Ma il problema non si pone nemmeno se si mangia a casa di altri, o se si invitano a casa propria delle persone. In primo luogo perché le diagnosi di questo tipo non fanno scalpore in quanto sono ormai molto diffuse. In secondo luogo perché i piatti per chi soffre di intolleranze alimentari sono in realtà buoni per tutti, anche per chi non soffre di alcun disturbo. Al netto di tutto ciò, se si pone attenzione al tema della contaminazione alimentare, cucinare per intolleranti alimentari (o per allergici) è più semplice di quanto si possa immaginare.Lo sapevi che…
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Da quanto appena detto deriva anche l’eterogeneità di sintomi che allergie e intolleranze provocano. I sintomi delle allergie sono sovente sistemici e violenti, e possono includere forte malessere, rush e problemi respiratori. Se l’interazione con la sostanza avviene a livello cutaneo, si possono notare eczemi in corrispondenza della zona di contatto. E’ il caso dell’allergia al nichel. Non mancano, soprattutto in caso di assunzione, problemi gastrointestinali, come dolori, crampi, diarrea e nausea. I sintomi delle intolleranze sono più circoscritti e sono principalmente gastrointestinali. Ciò si verifica - nella maggior parte dei casi - in quanto l’organismo non riesce ad assimilare la sostanza, dunque produce gas nel tentativo di farlo. Tale abnorme quantità di gas provoca i sintomi che abbiamo appena descritto. Questo è proprio il caso dell’intolleranza al lattosio, infatti il lattosio rimane per lo più integro, anziché scomporsi in glucosio e galattosio, stimolando un accumulo di gas. Una differenza tra allergie e intolleranze, che spesso viene scambiata per punto in comune, è la classe di sostanze che scatenano le une e le altre. Nel caso delle allergie, la sostanza incriminata è un alimento nel suo complesso. Nel caso delle intolleranze, è spesso una molecola, uno zucchero o una proteina. Le allergie alimentari più comuni riguardano il latte, il miglio, il frumento, le uova e i crostacei. Le intolleranze alimentari più comuni, invece, riguardano il lattosio, il glutine e così via. Ciò pone in essere conseguenze diversificate sul tenore di vita. In buona sostanza, quello degli allergici risulta molto più compromesso. Dover evitare una sostanza è un conto, dover evitare un alimento è un altro paio di maniche. Giusto per fare un esempio, chi è intollerante al lattosio può comunque bere latte e consumare latticini, purché siano delattosati. Chi è allergico al latte non dispone di questa possibilità.Come diagnosticare allergie e intolleranze?
La diagnosi delle allergie alimentari è sostanzialmente clinica, dunque è frutto dell’osservazione di reazioni visibili e misurabili empiricamente. Ciò ha determinato la convinzione secondo cui anche il singolo individuo possa giungere a una diagnosi, senza l’aiuto di un esperto. In realtà è un errore madornale. L’autodiagnosi è fallace in quanto per individuare correttamente la malattia è necessario un bagaglio di conoscenze utile ai fini dell’interpretazione dei fenomeni. Inoltre, è anche pericolosa in quanto si rischia di scatenare i sintomi della malattia. E’ vero che la diagnosi passa per prove ed errori, ma queste devono susseguirsi in una prospettiva di riduzione dei rischi propria della professione medica. Dunque, sì all’eliminazione dalla dieta di questo o quell’elemento, per capire se è proprio lui a scatenare i sintomi allergici. Si anche all’aggiunta di dosi ulteriori del sospetto allergene per verificare la reazione dell’organismo, ma secondo tappe e indicazioni ben precise, fornite dallo specialista. Anche l’intolleranza viene diagnostica o più frequentemente “scovata” con l’aggiunta o la sottrazione di elementi specifici dalla dieta. Il primo scopo è comunque escludere l’allergia, cosa tra l’altro abbastanza semplice vista la diversità di sintomi. In alcuni casi sono a disposizione alcuni test che garantiscono una diagnosi. E’ il caso del breath test per le intolleranze al lattosio. Il paziente viene invitato a consumare del latte, in modo progressivo. Successivamente, soffia in un macchinario che analizza la composizione dell’aria immessa. Se si riscontra una quantità di anidride carbonica esagerata, allora si è in presenza di una intolleranza, infatti l’abbondanza di CO2 è causata proprio dalla cattiva digestione e dal malassorbimento. Se vi è un sospetto caso di celiachia, invece, si possono realizzare degli esami del sangue per rintracciare gli anticorpi specifici, in quanto tale patologia “stimola” comunque il sistema immunitario.Gli esami strumentali nello specifico
Vale la pena approfondire la questione degli esami strumentali. Molti, infatti, pensano all’iter diagnostico con un po’ di timore reverenziale, immaginando chissà quale pratica complessa o dolorosa. In realtà è tutto molto semplice, e nemmeno troppo scomodo. Ciò vale soprattutto per il breath test. Sul meccanismo di azione ho già accennato qualcosa prima, rimane da affrontare il tema della “preparazione”, che merita particolare attenzione. Infatti, non ci si può presentare al breath test come se nulla fosse, ma occorre seguire delle regole ben precise. La più importante riguarda il digiuno: esso deve durare per le otto ore precedenti al test. Lo scopo è quello di giungere con lo stomaco e gli intestini “vuoti”, analizzando al meglio l’impatto del lattosio sull’apparato digerente senza interferenze. Stesso discorso per il fumo. Il consumo di tabacco, infatti, può alterare - seppur impercettibilmente - l’attività respiratoria, inducendo all’errore l’esaminatore. E’ bene, poi, consumare cibo leggero in occasione dell’ultimo pasto (almeno otto ore prima del test). A tal proposito, si consiglia riso, carne o pesce, degli alimenti che producono pochi gas intestinali. Più complessi sono i test per la diagnosi della celiachia, almeno dal punto di vista medico. Per il paziente sono una “passeggiata”, in quanto constano di un semplice prelievo di sangue. Questo viene poi analizzato per verificare la presenza di anticorpi specifici contro il glutine. Gli anticorpi possono essere anti-transglutaminasi (tTG), anti-gliadina (AGA) e anti-endomisio. I risultati, per ovvi motivi, sono difficili da leggere, ma per questo ci sono esperti e specialisti. Se i risultati non sono chiari, o se la celiachia è a uno stadio precoce, è possibile sottoporsi ad alcuni test genetici. Questi hanno lo scopo di verificare la presenza di componenti genetiche associate alla celiachia. I test genetici sono comunque abbastanza rari, anche perchè costano parecchio.Comportamenti e terapie
Quando si è in presenza di un’allergia alimentare, l’unica terapia realmente a portata di mano è l’esclusione totale dell’alimento dalla propria dieta. Tuttavia, in alcuni casi ciò non risulta possibile in quanto provoca un grave peggioramento della qualità della vita. Un’evenienza non comune, ma che fa riferimento solo alle situazioni in cui sono presenti contemporaneamente molte allergie. In questi casi si procede con delle immunoterapie, che prevedono l’esposizione graduale e crescente all’allergene nel tentativo di ripristinare una corretta risposta immunitaria. Nella peggiore delle ipotesi, ovvero quando la sensibilità è estrema si possono assumere farmaci chelanti, che di fatto disintossicano il corpo dalla sostanza incriminata. Per la celiachia vale lo stesso discorso, solo che in questo caso ci si ferma all’eliminazione del glutine. E’ infatti uno sforzo meno gravoso di quanto si pensa, dal momento che esistono molti alimenti che possono sostituire al meglio i cibi full-gluten. Discorso diverso, invece, per l’intolleranza al lattosio. Nella fattispecie è possibile evitare latte, latticini e formaggi freschi, o puntare sulle varianti delattosate. La rimozione del lattosio è un’operazione banale, che altera solo un po’ il gusto. Il procedimento consiste nell’immissione dell’enzima lattasi nel latte. Tale enzima, che manca negli intolleranti, di fatto “scompone” il lattosio. Il lattosio si trasforma poi in glucosio e galattosio, sostanze digeribili da chiunque.Lo stile di vita di chi soffre di intolleranze alimentari
Chi soffre di intolleranze alimentari o allergia va incontro a un drastico peggioramento della qualità della vita? Il senso comune suggerisce di sì. Se l’unica terapia possibile, eccettuati i casi speciali (es. immunoterapia) è rinunciare agli alimenti che provocano i sintomi, si fa presto a concludere che questi disturbi privano di uno dei piaceri della vita, ossia mangiare ciò che si vuole. Il ragionamento ha una sua fondatezza, ma corrisponde al vero solo se chi ha ricevuto una diagnosi “si lascia andare” e non reagisce con furbizia di fronte a un problema in effetti piuttosto grave. La verità è semplice: si può convivere con le intolleranze e con le allergie senza compromettere il proprio rapporto con il cibo. Insomma, si può evitare di scambiare le sofferenze fisiche (sintomi da intolleranze e allergie) con le sofferenze psicologiche. Il segreto sta nel cambiare il proprio approccio all’alimentazione, intraprendendo un percorso di conoscenza degli alimenti. La natura offre tanti alimenti in grado di sostituire quelli che, per una intolleranza o un’allergia sono off limits. Nella stragrande maggioranza dei casi sono buoni, nutrienti e porgono il fianco alla buona cucina. Per intraprendere questo percorso e portarlo a termine sono necessari alcuni “ingredienti”. In primo luogo è necessario metabolizzare la diagnosi sul piano psicologico. Non è un processo immediato, ma prima o poi tutti se ne fanno una ragione. Secondariamente è necessario sviluppare una forma mentis diversa e più aperta a nuovi sapori, che vanno oltre gli approcci diversi da quello “mediterraneo classico”. E’ un caso, ma buona parte degli alimenti “agibili” provengono da altri contesti, e lo stesso si può dire delle ricette che ne fanno uso. Infine, è bene sviluppare una vera cultura della condivisione. Coinvolgere il prossimo nel proprio percorso di crescita, o più banalmente condividere i pasti “anti-intolleranze” restituisce una dimensione di normalità e cambia la percezione che i “sani” hanno degli intolleranti e degli allergici.Alcuni dettagli sull’intolleranza al lattosio e sulla celiachia
Cosa significa, nello specifico, convivere con questi disturbi? Rispondo alla domanda limitando il campo di indagine a quelli più diffusi: l’intolleranza al lattosio e la celiachia. D’altronde, ne so qualcosa, visto che sono affetta da entrambe. Attualmente, dopo aver intrapreso un percorso di conoscenza e di evoluzione del mio rapporto con il cibo, posso dirmi soddisfatta. Per me questi disturbi non sono un problema in quanto ci convivo non solo sul piano psicologico, ma anche come stile di vita, applicando in modo oculato eventuali rinunce. Per esempio, affronto l’intolleranza al lattosio sostituendo il latte e i suoi derivati con versioni vegetali, come il latte di mandorla, il latte di cocco e il latte di soia. In alternativa, posso tranquillamente consumare prodotti delattosati, che sono buoni come quelli “normali” sebbene un po’ più costosi. La celiachia mi ha imposto un cambio di marcia pesante, che mi ha portato a scoprire tanti alimenti e a esprimere un livello di creatività in cucina per me inedito (ho sempre amato sperimentare). Sostituiscono la farina di frumento con quella di riso e di mais, come fanno tutti, ma allo stesso tempo consumo - e preparo deliziose ricette – con farine diverse e più esotiche. Qualche esempio? La farina di amaranto, la farina di quinoa, la farina di fonio etc. Non è uno sforzo, ma piuttosto un piacere. Anche perché nella stragrande maggioranza dei casi aggiungono un tocco di fantasia ai piatti. Senza considerare le loro proprietà nutrizionali, che sono spesso più accentuate rispetto delle farine standard. Non di rado contengono anche molte proteine e sono ricche di sali minerali e di vitamine. Per quanto concerne l’apporto calorico non ci sono grosse differenze, del resto la farina è sempre farina!Cucinarea per il tuo evento perfetto!
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